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Il tesoro da 60 milioni era regolarmente indicato nelle fatture

14 agosto 2014

Il tesoro da 60 milioni era regolarmente indicato nelle fatture

Il tesoro da 60 milioni era regolarmente indicato nelle fatture

Mistero senza spiegazioni ma sotto gli occhi di tutti

Più i giorni passano e più il mistero delle due valigette piene di rubini e zaffiri, partite 3 anni fa da Alessandria, finite in una cassetta di sicurezza a Ginevra e mai toccate, si infittisce. Sono tante le ombre che circondano questa vicenda. Un giallo diventato rompicapo. Una storia zeppa di aspetti che fanno fatica a combaciare e di dettagli che non quadrano.

La ricostruzione

Mancano molti elementi per completare il puzzle, anche se la procura di Ivrea fa sapere che entro breve «potrebbero esserci sviluppi interessanti». Anche perché finora i prevalgono i punti interrogativi e le domande. La prima - ed è quella per cui la risposta potrebbe arrivare a breve - è perché mai una casalinga di 60 anni e un commerciante cinquantenne, con una vita fin qui insospettabili hanno a che fare con un simile tesoro? Chi li ha coinvolti in questa storia? Il commerciante interrogato dagli inquirenti come persona informata sui fatti, ha detto poco o nulla. Ai magistrati e ai militari della Guardia di Finanza ha spiegato di aver ricevuto quelle pietre da un tizio, ma di non ricordare chi fosse. «Ho fatto solo da prestanome». Un ingenuo o uno che fa il furbo e nasconde molte cose? E lei, la donna, chi sarebbe? E’ una casalinga di Chivasso, sposata, mai un guaio in passato, forse soltanto qualche contravvenzione non pagata. Una che neanche l’autore di una scalcinata spy story avrebbe potuto immaginare in un ruolo simile. Eppure sarebbe la destinataria di una valigia di gioielli dal valore imbarazzante.

Le supposizioni

Ma è davvero così? E se quelle pietre, in realtà, fossero patacche, magari destinate alle televendite di gioielli che, in quegli anni, impazzano su molte emittenti private? E’ una possibilità. Del resto, proprio in quel periodo, a partire dal 2010, ci sono inchieste aperte in molte zone del nord Italia che puntano a fare chiarezza sulle truffe di preziosi fasulli. Al momento, però, per la procura di Ivrea fa fede la certificazione di autenticità di un gemmologo di Torino. «Le pietre – spiegano da palazzo di giustizia – sono sotto sequestro nel caveau svizzero e quanto prima le faremo esaminare anche da nostri periti».

Le tasse

Il giallo, quindi, si infittisce, la matassa si aggroviglia e all’aspetto penale si intreccia quello tributario (non si sa, ad esempio, se è stata pagata l’Iva su quei gioielli).

Alla luce del sole

Quel che si sa, invece, è che il commerciante e la casalinga si rivolgono, nella primavera del 2011, ad uno dei più noti e seri spedizionieri italiani: la Ferrari spa di Alessandria. A distanza di pochi giorni tramite la ditta (estranea all’inchiesta) i due si autospediscono «in chiaro», vale a dire con tutta la documentazione necessaria, i gioielli in Svizzera. Che poi vengono portati in una cassetta di sicurezza. I due sono obbligati a far arrivare tutto nella cassetta di sicurezza, perché le bolle doganali hanno una scadenza e la merce va ritirata altrimenti torna indietro. Ma se li hanno inviati nel caveau forse pensavano che qualcun altro andasse a ritirarli, magari il «tizio» che li ha raffidati al commerciante. I misteri restano e il faro acceso dalla procura di Ivrea non si spegnerà neanche a Ferragosto.

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