14 agosto 2014
Da Alessandria alla Svizzera con rubini e zaffiri per 60 milioni che nessuno ha ritirato
Continuano le indagini della Procura di Ivrea sulle due valigette contenenti 60 milioni di gioielli che due torinesi hanno spedito da Alessandria in Svizzera e non hanno mai ritirato. Le ha scoperte in un caveau di Ginevra la Guardia di Finanza analizzando la situazione contabile di un commercianti di abbigliamento di Caluso e di una casalinga di Chivasso. Le valigette adesso sono state sequestrate ma perché nessuno le ha mai ritirate?
Partiamo di qui: chissà se quei rubini e quegli zaffiri, valore dichiarato 60 milioni, sono davvero pietre preziose o «sassi di Po» (patacche). Patacche scoperte quando era ormai troppo tardi e le due valigette già al sicuro in un caveau svizzero. Il giallo si infittisce, la matassa si aggroviglia e all’aspetto penale si intreccia quello tributario.Sono un commerciante e una casalinga del Torinese a rivolgersi a uno dei più noti e seri spedizionieri italiani: la Ferrari spa con sede in via S. Giovanni Bosco ad Alessandria. A distanza di pochi giorni tramite la ditta (che ha semplicemente svolto il proprio lavoro ed è totalmente estranea all’inchiesta) i due si autospediscono «in chiaro», vale a dire con tutta la documentazione necessaria, compresa l’assicurazione e quindi il valore dichiarato i gioielli in Svizzera. Dal deposito della ditta a vengono prelevati e portati a Ginevra in una cassetta di sicurezza. I due sono obbligati ad agire così perché le bolle doganali hanno una scadenza e la merce va ritirata altrimenti torna indietro. Quindi le valigette, con tanto di dichiarazione di un gemmologo che attesta il valore del contenuto in 60 milioni, vengono spostate e lo spedizioniere esce di scena.
Resta da chiarire che cosa accade. È il 2011, le televendite di gioielli impazzano; polizia e carabinieri pezzo per pezzo sgominano grandi organizzazioni criminali. Le valigette sono in mezzo. E inizia una sfilza di interrogativi. Sono gioielli veri «in transito» in Svizzera verso altri Paesi e «succede qualcosa», tipo l’arresto o la scomparsa della persona a cui erano destinati per cui nessuno più si azzarda a ritirarli? O sono destinati a mercati «particolari» e qualcuno all’ultimo si accorge che sono patacche? Come è possibile che il commerciante torinese indagato dalla Procura di Ivrea per ricettazione, non si ricordi per chi ha fatto il prestanome? Quale legame economico c’è tra lui e la casalinga che si comportano in modo identico? Ma soprattutto hanno agito «per conto proprio» o per qualcuno? chi si nasconde dietro di loro? E per quei gioielli è stata pagata l’Iva o sono passati da un porto franco? Ma, soprattutto, fatta salva la serietà dello spedizioniere, perchè partono proprio da Alessandria? C’è un legame con Valenza, città dell’oro e delle pietre preziose? Interrogativi ai quali la Procura di Ivrea sta cercando di dare una risposta. È solo una questione di tempo.
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