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Verrès Spa, dipendente basista per la rapina da quattro milioni

24 aprile 2014

Verrès Spa, dipendente basista per la rapina da quattro milioni

Verrès Spa, dipendente basista per la rapina da quattro milioni

Chiuse le indagini sul furto di tondelli che coinvolgono un operaio di Issogne

Operaio. Dipendente della Verrès spa da 16 anni. Ma lo stipendio non gli bastava. E così, è diventato il basista di una rapina da quasi 4 milioni: è Manuel Ansermé, 36 anni, di Issogne, finito sott’inchiesta assieme ad altri cinque personaggi per la rapina al Tir che trasportava tondelli per coniare monete avvenuta poco dopo le 2 del 22 settembre 2011, vicino alla barriera autostradale di Albiano. L’indagine è collegata a quella su due omicidi (avvenuti il 6 gennaio 2012 e il 5 gennaio 2013) e un tentato omicidio (il 27 dicembre 2011): la spartizione di quel bottino è tra i moventi di quella violenza. I nomi nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari sono 21. C’è anche quello di Ansermé (difeso da Oliviero Guichardaz e Andrea Noro). Ma lui, di ferimenti e morti ammazzati sa poco. O nulla.

I telefoni

I carabinieri del Reparto Investigativo di Torino hanno ricostruito in modo minuzioso gli spostamenti dei vari personaggi. Compreso Ansermé. Il 10 settembre, la scheda telefonica intestata a un immigrato romeno viene attivata per la prima volta. Secondo i carabinieri, quel telefono è in mano all’operaio della Verrès spa. Lo ha ricevuto da Massimiliano Cameruccio (difeso dall’avvocato Nicola Ciafardo), 41 anni, che il giorno prima è in Bassa Valle e utilizza un cellulare intestato a un prestanome, ma riconosciuto come proprio davanti agli inquirenti. E proprio da quel telefono affidato ad Ansermé partirà la telefonata di «via libera», tredici ore prima della rapina. I due si sono conosciuti un anno prima, quando Cameruccio è andato a vivere con la fidanzata a Issogne. Un mese e mezzo dopo, si è trasferito a Gassino Torinese.

La preparazione

La Verrès spa adotta particolari cautele per il trasporto dei tondelli. All’epoca della rapina, i carichi erano affidati alla «Trasporti Solari». Il piano settimanale prevede due viaggi, poi unificati all’ultimo momento e con poche ore di preavviso. Una decisione comunicata via mail dal caporeparto monetazione all’impiegata della ditta «Solari», ma anche all’ufficio spedizione-ricevimento merci della «Verrès spa», che lo inoltra ad altri dipendenti. In qualche modo, la comunicazione rimbalza fino ad Ansermé, operaio addetto alla laminazione nel reparto monetazione. E’ il 21 settembre. Quel giorno, il suo turno è dalle 6 alle 14, ma lui ottiene un permesso per uscire un’ora prima.Alle 13,08, Ansermé chiama il compare. Lui non risponde, è al telefono con la fidanzata. Ma riceve il messaggio di chiamata. E’ il segnale. Cameruccio accende subito il cellulare intestato al prestanome, Ansermé fa lo stesso. I due parlano per quasi due minuti. Da quel momento, parte la catena delle telefonate ad Antonino Giambò, Daniele Polidori e Pietro Tevere, complice per la rapina e ammazzato per mano dello stesso Giambò il 6 gennaio 2012 con una revolverata calibro 32 alla nuca. In quell’occasione, con Giambò c’era anche Francesco D’Angelo: l’unico (difeso da Roberto De Sensi) scarcerato dal Tribunale della Libertà.

Il colpo

Il resto è la cronaca di una rapina da manuale: Cameruccio segue il Tir, segnala la posizione ai complici Giambò e Tevere, che tagliano la strada alla motrice per farla fermare su una piazzola in autostrada, sventolando paletta e pistola da una «Punto» con lampeggiante e insegne della polizia municipale. Legato l’autista con fascette da elettricista, i due rapinatori sono stati raggiunti da Daniele Greco, alla guida di un’altra motrice, ripartita poco dopo con il carico milionario. Quel «colpo» non porterà fortuna a Tevere, ammazzato da Giambò per aver intascato il ricavato di 70 chili di droga che insieme avevano rubato a trafficanti sardi. Ma nemmeno sarà di buon auspicio per Cosimo Damiano Vasile, mediatore per conto della banda con un ricettatore savonese e ammazzato con una luparata in faccia il 5 gennaio 2013 nella zona Nord in Barriera di Milano. Il più fortunato è stato Giuseppe Picchierri, braccio destro di Vasile nella mediazione per i tondelli: Giambò ha tentato di investirlo con una Mercedes a Leinì, ma lo ha fatto soltanto finire in ospedale con una distorsione alla caviglia e un «colpo di frusta». E adesso, rischia l’ergastolo.

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